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Nell’ambito dell’edilizia, quando ci si trova a dover prendere decisioni, più o meno rischiose, spesso si è soggetti ad un bias molto comune: l’avversione alla perdita.
Generalmente, gli individui percepiscono la perdita ad un livello maggiore rispetto alla potenzialità di guadagno. Questo fa sì che, nell’elaborare le informazioni, seppur convinti di aver preso in considerazione tutti i fattori determinati, il peso che è associato a fattori negativi è filtrato da questo bias.
Molti studi, infatti, marcano la correlazione tra l’avversione alla perdita ed il bias di negatività.
Diversi sono gli elementi fondanti che determinano una maggiore o minore avversione alla perdita. E la teoria del prospetto, postulata da Daniel Kahneman e Amos Tversky nel 1979, mostra proprio i meccanismi per cui al momento di una scelta un individuo si discosti dal comportamento razionale e dalla massimizzazione dell’utilità.
L’avversione alla perdita spiegata con la teoria del prospetto
Durante gli studi, Kahneman e Tversky, hanno verificato l’influenza di variabili, quali il linguaggio utilizzato, il contesto di riferimento di una tale scelta, la natura del problema e la percezione personale rispetto al problema, su pattern decisionali.
Come sono comunicate le informazioni preliminari ad una scelta, abbiamo già visto anche nell’approfondimento di bias come quello della riprova sociale, spinge gli individui a compiere determinate scelte.
Fu, infatti, condotto un esperimento sottoponendo a due gruppi il “problema della malattia asiatica”. L’ipotesi di base è quella per cui c’era la possibilità che 600 persone si ammalassero. I due gruppi di studio dovevano, quindi, decidere quale tra due programmi far approvare.
Al primo gruppo fu detto di scegliere tra il piano A, in cui c’era la possibilità di salvare sicuramente 200 persone, e il piano B, in cui c’era un terzo di probabilità di salvare tutti.
Al secondo gruppo furono dati il piano C, in cui sarebbero morti 400 pazienti, e il piano D, per cui c’era un terzo di possibilità che nessuno morisse.
I partecipanti allo studio ebbero propensioni diverse. Il gruppo con le opzioni “ottimistiche” scelse l’opzione A, la certezza, mentre il secondo gruppo scelse la soluzione di tipo probabilistico, il piano D.
Le scelte per entrambi i gruppi, però, erano equivalenti. L’unica differenza constava nella formulazione: per il primo gruppo enfatizzando il valore positivo, mentre per il secondo gruppo il carattere negativo.
Società e avversione al rischio
Il contesto socio culturale in cui un uomo vive è un altro dei fattori che può portare ad essere più o meno propensi al rischio. Secondo il professore Ena Inesi della London School of Economics la propensione al rischio è direttamente proporzionale alla disponibilità economica di un soggetto. Questo perché le perdite sembrano impattare meno, rendendo quindi anche il rischio meno minaccioso.
Sicurezza sul lavoro: come favorirla anche grazie all’avversione alla perdita
Nei luoghi di lavoro risulta molto importante definire non solo regole di base per la sicurezza, ma cercare di inquadrare le individualità dei singoli operatori e professionisti. Comprendendo le specificità di ognuno, infatti, aumenta la possibilità di incoraggiare comportamenti virtuosi. Far leva sulle diverse sensibilità, permette di costruire ambienti lavorativi più sicuri, rispettosi e produttivi.
Enfatizzare le perdite reali che si possono verificare a seguito di comportamenti insicuri, sfruttando l’avversione alla perdita, stimola una maggiore adesione alle procedure di sicurezza.