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Nel trilogo tenutosi il 12 ottobre non si è raggiunta alcuna intesa sulla direttiva Case Green. Sarebbe dovuto essere il terzo incontro per la conclusione di una bozza definitiva. Il tutto però slitta ancora. Con il rinvio ad una ulteriore riunione si cerca una maggiore flessibilità.
Dai Paesi Membri si chiede più autonomia e margine di manovra. Con i negoziati, infatti, un grande punto di cui si è discusso è la revisione della EPBD (Energy performance of building directive). Le tempistiche stringenti sono state ammorbidite. Il maggiore dibattito ha riguardato le differenti posizioni di Parlamento e Consiglio Europeo sulla riqualificazione energetica degli edifici.
Direttiva Case Green: gli obiettivi
L’obiettivo della direttiva è la riduzione delle emissioni nocive del 55% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030 e raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Nell’ambito del Green New Deal, quindi, è previsto un miglioramento dell’efficienza energetica, ponendo un focus sulla riqualificazione del settore immobiliare.
La proposta avallata il 14 marzo 2023 dal Parlamento UE prevede emissioni zero dal 2028 per gli edifici di nuova costruzione, e dal 2026 per gli edifici pubblici.
Per quanto concerne gli edifici residenziali esistenti la riqualificazione energetica procederà a scaglioni: dovranno raggiungere la classe di prestazione energetica E entro il 2023, e D entro il 2033. Gli edifici e le unità immobiliari non residenziali dovranno conseguire la classe di prestazione energetica E entro il 2027 e D entro il 2030.
Queste sono, comunque, solo le prime manovre da implementare per ristrutturare il panorama edilizio esistente. Si dovrà arrivare, in via progressiva, a classi di prestazione energetica superiore entro il 2040 e il 2050, per poter raggiungere la neutralità climatica, come definito dagli accordi siglati dagli Stati.
La proposta relativa alla direttiva Case Green è inserita nel pacchetto di riforme Fit for 55. L’intento, per raggiungere gli obiettivi, è di agire in modo prioritario sul 15% degli edifici più energivori, collocati nella classe energetica G (la più bassa), di ogni Stato membro. Secondo i dati Istat, in Italia sono circa 1,8 milioni di edifici residenziali, su un totale di 12 milioni.
Le stime sono state fatte in base alla classificazione di prestazione energetica, ovvero attraverso la redazione di un attestato di prestazione energetico (APEL’Attestato di Prestazione Energetica (APE, o anche comunemente “certificato energetico”) è un documento che attesta la prestazione e la classe energetica di un immobile e indica gli interventi migliorativi più convenienti. Attraverso l’APE il cittadino viene a conoscenza di caratteristiche quali il fabbisogno energetico dell’edificio o dell’unità edilizia, la qualità energetica del fabbricato, le emissioni di anidride carbonica e l’impiego di fonti rinnovabili di energia, che incidono sui costi di gestione e sull’impatto ambientale dell’immobile, ed è guidato verso una...). Il documento può essere redatto con l’aiuto di software, come Blumatica Energy, che permettono di eseguire le analisi e i calcoli per la relazione tecnica di qualsiasi tipologia di impianto, in modo semplice ed intuitivo.
Ristrutturazioni e singolarità del patrimonio immobiliare
Durante gli incontri che si sono tenuti la notte tra il 12 ed il 13 ottobre nella sede del Parlamento europeo si è cercato di andare nella direzione di un accordo di massima su:
- modalità di riduzione dei consumi degli edifici esistenti;
- gli interventi da compiere sugli edifici con la performance energetica peggiore;
- definizione delle classi energetiche.
Si è discusso, nello specifico, degli articoli 9 e 16, per cui sono state riviste le scadenze per il raggiungimento delle classi energetiche ed il sistema di collocazione dei Paesi Membri.
Sulla questione della riqualificazione energetica si sono viste due posizioni a confronto, quella del Parlamento, che punta a far raggiungere a tutti gli edifici residenziali la classe energetica E entro il 2030 e la classe D entro il 2033. Mentre il Consiglio Europeo ha proposto di rendere a emissioni zero entro il 2030 solo ed esclusivamente gli edifici residenziali di nuova costruzione. Per gli edifici già esistenti la scadenza è prorogata al 2050.
Per le istituzioni la classe andrà determinata sulla singola unità immobiliare. Gli Stati, invece, spingono nel considerare l’intero parco immobiliare, con tracciati e traguardi circa la riduzione dei consumi definiti a livello nazionale.
La direttiva Case Green tiene conto delle differenti situazioni di partenza in cui si trovano i parchi immobiliari nazionali. È fissato, quindi, che la classe G dovrà corrispondere al 15% degli edifici con le prestazioni energetiche peggiori in ogni Stato membro.
È comunque previsto che i singoli Stati possano escludere alcuni edifici, come monumenti e luoghi di culto, dagli obblighi di efficientamento.
L’Italia, in questo contesto, ha un patrimonio immobiliare composto da edifici di antica costruzioni sui quali sono imposti vincoli architettonici. Potrebbe, quindi, avere difficoltà nel raggiungere gli obiettivi della direttiva. Ristrutturare edifici nei centri storici delle città e nei borghi, ad esempio, potrebbe compromettere l’estetica ed il valore storico.
Come sostiene il ministro dell’ambiente Gilberto Picchetto Fratin, “Abbiamo un patrimonio particolare con 31 milioni di fabbricati, di cui 21 milioni oltre la classe D“, per cui anche l’obiettivo del 2050, allo stato attuale, non sembra raggiungibile.