Case Green: via libera alla direttiva, anche con il no dell’Italia

case green no dall'Italia
Approvata la direttiva case green, anche con il voto sfavorevole dell'Italia. Perché? Quali misure sono previste?

La Direttiva Case Green riceve l’approvazione finale da parte del Consiglio Ecofin, con 20 voti favorevoli, 5 astenuti e 2 contrari, tra cui l’Italia.

Inclusa nel pacchetto di riforme Fit for 55, la direttiva europea si propone di ridurre gradualmente le emissioni di CO2 del patrimonio immobiliare europeo, con l’ambizioso obiettivo della totale decarbonizzazione entro il 2050. Per raggiungere tali traguardi il piano prevede la riqualificazione degli edifici e il potenziamento dell’efficienza energetica. con:

  • l’istituzione di un quadro comune per il calcolo della prestazione energetica integrata degli edifici e delle unità immobiliari;
  • l’attuazione di requisiti minimi di prestazione energetica per gli edifici, al fine di garantire standard adeguati e omogenei in tutta l’Unione Europea.

“Ambizioso” è un termine che si ripete spesso in riferimento agli obiettivi di riduzione dei consumi e di decarbonizzazione fissati per i prossimi anni. Non stupisce il voto sfavorevole dell’Italia, infatti.

Direttiva Case Green: cosa prevede

Durante il vertice dei ministri dell’Economia e delle Finanze, tenutosi a Lussemburgo, il testo della direttiva è stato approvato con maggioranza qualificata. 

Aggiornando il quadro normativo esistente, ovvero la Direttiva 2018/2002/UE sull’efficienza energetica, la direttiva sulla prestazione energetica nell’edilizia (EPBD) prevede il raggiungimento di obiettivi, che sono andati ad essere man mano meno stringenti nel corso delle diverse revisioni, e termini più estesi. 

Ogni Stato membro dell’UE deve adottare un piano nazionale circa la progressiva riduzione del consumo energetico degli edifici residenziali e non, stabilendo, in autonomia, quali edifici prioritizzare. Questo, però, non impone o vincola nessuno dei singoli proprietari delle abitazioni ad obblighi di ristrutturazione.

Ogni Stato membro stabilirà una strategia per ridurre il consumo medio di energia primaria degli edifici residenziali del 16% entro il 2030 e del 20-22% entro il 2035. Inoltre, almeno il 55% della riduzione deve essere ottenuta attraverso la ristrutturazione degli edifici con le prestazioni peggiori, lasciando agli Stati la scelta degli edifici mirati e delle misure adottate. 

Per gli edifici non residenziali, è prevista l’introduzione graduale di norme minime di prestazione energetica per ristrutturare il 16% degli edifici con le prestazioni peggiori entro il 2030 e il 26% entro il 2033, con possibilità di esenzioni per edifici storici o case di villeggiatura. 

Le nuove costruzioni, invece, che siano o meno residenziali, devono avere zero emissioni da combustibili fossili:

  • dal 1 gennaio 2028, per gli edifici pubblici;
  • dal 1 gennaio 2030 per tutti gli altri edifici.

Perché arriva il no dall’Italia per la Direttiva Case Green

Siamo di fronte a una misura fortemente ideologica, incompatibile con il patrimonio edilizio italiano, penalizzante per i cittadini, per il settore edilizio e per il sistema di accesso al credito, che si basa sul valore della proprietà immobiliare. Continuerò quindi a battermi per modificare questa misura con l’obiettivo di salvaguardare il bene rifugio degli italiani e di riportare il buon senso in Europa. Il 2026, quando è prevista la revisione della direttiva, ci troverà più agguerriti e determinati che mai”.

Sono le parole di Isabella Tovaglieri, Eurodeputata delle Lega, che spiega il voto contrario dell’Italia sulla direttiva case green. Il tema principale, come sostiene anche il ministro Giancarlo Giorgetti, è capire chi dovrà pagare per gli interventi di efficientamento. A seguito del Superbonus, per cui solo in pochi sono riusciti a “rifare le case grazie ai soldi che ci ha messo lo stato, gli altri italiani hanno qualcosa da imparare da questa esperienza”.

Anche l’onorevole Erica Mazzetti, Forza Italia, si dimostra ferma sull’opposizione, sottolineando la sacralità della proprietà privata e riaffermando la sua posizione riguardo all’eccessivo peso degli oneri che ricadono sui proprietari per gli interventi di riqualificazione richiesti dalla EPBD. 

“Ci sono profonde differenze tra noi e gli altri paesi europei, visto che da noi la proprietà è largamente diffusa e soprattutto molto individuale e frazionata, di cui si deve necessariamente tenere conto quando si prendono delle decisioni. Non solo, bisogna chiarire con quali fondi si intendono sostenere questi lavori, visto che né gli italiani da soli e nemmeno il nostro Paese possono farlo senza un impegno da parte dell’Europa, di cui siamo membro chiave. L’Italia deve riqualificare il suo patrimonio immobiliare ma deve farlo con i suoi tempi e le sue regole”.

In Italia, su una rete di circa 12 milioni di edifici residenziali, l’attenzione si concentra sui 5 milioni con le prestazioni energetiche più scadenti, rappresentando una sfida e un’opportunità per il cambiamento.

Di questi, infatti:

  • il 77,9% necessita di interventi di riqualificazione per rientrare nella classe energetica D;
  • il 61% è oltre le classi energetiche minime di tolleranza indicate dall’Europa (D ed E).

Il futuro dell’efficientamento energetico degli edifici si sposta dai singoli certificati energetici a obiettivi medi di riduzione dei consumi personalizzati per ogni territorio, con l’obiettivo intermedio di ridurre il consumo medio del 16% entro il 2030 rispetto al 2020.

Resta, comunque, difficile che l’Italia riesca a raggiungere i traguardi della direttiva senza prevedere agevolazioni fiscali. Il corso degli interventi è ingente. In media si stima circa sui 104.500 euro ad intervento. Costo che per i singoli cittadini può risultare insostenibile. 

Per il presidente Lombardi “occorre una adeguata ed incisiva politica di sostegno da parte dell’Europa o i singoli Stati, e l’Italia in modo particolare, non potranno in alcun modo rientrare nei parametri di consumo indicati”.

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Cynthia Fiorillo

Redattrice


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